“Pepsi, dov’è il mio Jet?”. Bella domanda.
E titolo di una miniserie Netflix - ma questa non è una recensione - su una storia vera che ha dell’assurdo per mille ragioni. Per il caso in sé, specchio di un sistema nel quale quasi nulla puoi contro i giganti, e per il fascino, profondo e trascinante, che parte di quello stesso sistema esercita su di noi.
La storia. Riassumendo, perché sono quattro episodi e pure lunghetti.
1995. Negli USA la Coca Cola è leader del mercato. La Pepsi vuole mettere il suo principale concorrente sulla difensiva e lancia una campagna pubblicitaria con raccolta punti. C’è la maglietta, la giacca, la sacca, oggetti fighi, con marchio Pepsi, per giovani vincenti. Ed uno spot televisivo che vuole farsi ricordare. Un bel ragazzo che indossa i suddetti indumenti atterra su un prato con un Harrier Fighter dai vivaci colori Pepsi, mentre, in sovraimpressione, compare la scritta “con 7.000.000 di punti Pepsi”. Della dichiarazione di non responsabilità, attenzione, non v’è traccia.
Seattle, sempre 1995. John Leonard, vent’anni, fa lavoretti qua e là per guadagnare qualcosa. La sua passione è scalare le montagne. Vede lo spot e decide che quella dell’Harrier Jet è l’occasione della vita. Proprio scalando, conosce Todd Hoffmann, abile uomo d’affari, di vent’anni più grande di lui. I due diventano grandi amici e alleati nel progetto di ottenere a tutti i costi l’Harrier Jet. Per questo, creano un piano industriale strutturato. Si fermano, temporaneamente, per il timore di non riuscire a raccogliere tutti i punti in tempo, ma si rimettono in gioco, poco dopo, grazie ad una clausola contenuta nel catalogo Pepsi che permette di acquistare i punti mancanti a 10 centesimi l’uno. Tod, l’investitore, stacca un assegno da 700.000 dollari che viene recapitato presso la casella postale della Pepsi.
Quando in azienda ricevono l’assegno pensano ad uno scherzo. Non lo incassano ed inviano a John un buono acquisto per due casse di Pepsi.
E niente. Non vi dico di più. Che la faccenda va avanti per parecchio e a spoilerare c’è sempre tempo. E la storia, Harrier Jet a parte, è solo una storia.
Pepsi o non Pepsi, non l’avevamo capito allora e neanche adesso. Negli USA o in qualsiasi altro posto nel mondo. Quanto il sistema sia in grado, da sempre, di stregarci alla follia.
E mi viene in mente un altro enorme ed infinito colosso che, nel presente, sembra aver invaso i nostri desideri, certe scelte sul telecomando e portare facilmente al migliore dei mondi possibili. Rendendo più veri e accessibili i desideri tutti. Un po’ come la Pepsi con l’Harrier Fighter. Non lo nomino, il colosso in questione.
Ognuno rifletta a modo suo, che poi, di esempi ce ne sono per così.
E’ metodica, importante, sottile, la costruzione che sta dietro a tutto questo. Che ci fa desiderare, comprare, illuderci di aver speso meno, mentre piano piano qualcosa, altrove, si sgretola. E’ un continuo luccichio insieme ad un inevitabile abbaglio.
I desideri sono una spinta verso l’infinito e, comunque, fonte d’ispirazione.
Il desiderio di riscatto di John Leonard proiettato nell’Harrier Jet, in fondo, una grande avventura, comunque sia finita.
Un passo indietro, però, varrebbe la pena.
Per non confondere un Harrier Jet, un computer che quasi quasi ti fa il caffè o un decespugliatore, per un desiderio che, al di fuori di un sistema martellante, non avremmo avuto mai.