Andava tutto bene.
Si chiamava ArmadioVerde e andava, davvero, tutto a meraviglia.
Quando l’ho scoperto, nel 2020, grazie a Marina, esperta di economia circolare, ne ero entusiasta e navigavo sul quel portale con la stessa energia con cui un tempo mi aggiravo fra le relle del reparto abbigliamento de La Rinascente.
ArmadioVerde era un’idea geniale. Circolare e rassicurante.
L’invio gratuito dei propri capi di abbigliamento dismessi, l’attento controllo da parte dello staff che, se ne accertava l’ottimo stato, assegnava ad ogni capo un numero di stelline, una specie di punteggio. Nel caso in cui il capo fosse stato ritenuto usurato, sarebbe stato donato ad una onlus.
Era quello il primo aspetto che mi aveva fatto amare questa idea. Il fatto che non venisse corrisposto un importo in denaro, ma venisse fatta una valutazione con relative stelline che venivano accreditate sul tuo account. Le stelline stesse rappresentavano il credito utilizzabile per l’acquisto dei capi presenti sul portale. Che avevano un prezzo calcolato parte in euro e parte in stelline. Volevi acquistare un paio di jeans? Bene. Otto euro e dieci stelline. Pagavi gli otto euro e le stelline venivano scalate da quelle ottenute con l’invio dei tuoi capi.
Ho fatto acquisti su ArmadioVerde per ben cinque volte. Ricevendo capi in buono stato, di brand noti ed affidabili e corrispondendo somme di denaro davvero esigue. E poi cos’è successo?
E’ successo che ArmadioVerde ha cambiato nome. Nel 2021. Ed è diventato Greenchic. E vabbé, ha solo cambiato nome, mi sono detta. In effetti, in una prima fase, pareva andare tutto bene. E però, in occasione dell’acquisto spot di un paio di jeans e di una canotta che sul loro sito sembrava bellissima, è capitato che i jeans non corrispondessero alle misure riportate e che la canotta fosse usuratella anzichenò. E allora mi sono ridetta, pace, mi tengo la canotta e includo i jeans, ancora provvisti di cartellino Greenchic, nel prossimo carico di vestiti che non metto più. Cosa che ho fatto il 20 aprile scorso. 14 capi, tutti in ottimo stato.
La valutazione, leggevo dal loro portale, avrebbe dovuto aver luogo i primi di maggio. Non ricevendo notizie, il 16 di maggio, ho scritto una mail al servizio clienti. Mi è stato risposto che i miei capi sarebbero stati valutati la settimana successiva. Un mese dopo l’invio. Dopo qualche giorno di attesa, tutta felice, sono andata a controllare quante stelline mi fossero state assegnate. Nessuna.
Su 14 capi inviati, 11 sono stati giudicati di brand non trattati e 3 troppo usurati. Tutto in beneficenza. D’emblée. Chissà se i jeans con il cartellino Greenchic erano fra i capi usurati o fra i capi di brand non trattati. Perché il controsenso io lo percepisco.
Ho fatto un giretto in rete. Per controllare possibili recensioni di altri clienti. Quello che ho trovato è una marea di giudizi negativi. Una marea.
Ora. Pazienza per i 14 capi. Avrei potuto, magari, venderli su Vinted, ma, davvero, non è quello il punto.
E’ che un’idea con un concetto tanto bello alla base, quello di economia circolare, fa abbastanza male al cuore vederla buttare via così.
E poi leggi sul portale Greenchic che, da un po’ di tempo a questa parte, sono cambiati i criteri di valutazione dei capi di abbigliamento.
Sarebbe stato carino non rendere questa regola retroattiva, come pare sia accaduto a chi ha inviato capi tempo prima e poi si è visto rifiutare tutto secondo nuovi criteri.
Tutto questo, per esprimere un concetto. Quando ci si pongono grandi obiettivi, e l’economia circolare, a mio parere, lo è, bisogna stare attenti. Non so cosa sia accaduto all’ArmadioVerde del mio cuore che non si chiama nemmeno più così. Ma un tale cambiamento di rotta mi fa pensare che se anche troverò un portale con le stesse caratteristiche che aveva una volta ArmadioVerde, alla fine, non mi fiderò.
Non sono ammessi passi falsi, né improvvisi cambi d’umore se l’obiettivo e quello di rendere migliore questo mondo. Davvero no.
