Ci sono appuntamenti con la A maiuscola, al cinema o sul divano di casa tua.
Io ci ho messo un po’, e forse un filo mi biasimo, per aver fatto attendere chi non deve chiedere mai. L’impareggiabile acrobata dello spionaggio internazionale.
Ogni personaggio, creato da chiunque in ogni luogo, vive di vita propria in un universo parallelo, in fondo.
“No Time to Die”, ultimissima, anche se non recente, fatica su 007, è uno splendore. Ed è travolgente dal primo all’ultimo istante. Non si discute il brivido, l’azione, lo stupore, l’intreccio, gli attori sempre all’altezza dell’incredibile. Quel Daniel Craig che sì, è un duro, ma sa scioglierti di dolcezza all’improvviso. Un Ralph Fiennes tanto bravo da poterlo odiare e poi amare un attimo dopo. E Léa Seydoux, perfetta, non a caso, come mai nessuna prima, nella parte di chi sa rubare il cuore ad un personaggio che ha fatto, anche dell’acrobazia del salto da un letto all’altro, un’arte vera.
E’ lì che avrei dovuto dubitare. 007 non si innamora. Mi piace tanto, tantissimo, che l’abbia fatto, ma qualcosa scricchiola forte e chiaro.
Un James Bond in pensione in Jamaica. In pensione, James Bond. Mah.
E’ tutto reso alla perfezione e non c’è un attimo, in questa pellicola che sa farti tremare e spaventare e impressionare, in cui si dubiti di aver messo piede nella storia delle storie. In un complotto tanto crudele quanto possibile.
A venti minuti dalla fine, però, si inizia a percepire qualcosa di nuovo, e impensabile, direi, dalle origini di 007 ad oggi.
Mi astengo, a malincuore, dal condividere totalmente il finale di questo film che mi ha tanto emozionata quanto infastidita. Dopo due anni dall’uscita nelle sale, forse, sono rimasti in pochi quelli che non l’hanno ancora visto, ma è giusto rispettare i tempi di ognuno.
Quello che posso dire è che, pur travolta dalla storia e dal modo infallibile in cui viene raccontata, il finale fa pensare ad un’operazione commerciale che scade nel ri-trito. Perché, sì, da adesso in poi, salvo miracoli, James Bond non potrà far altro che essere sostituito.
Da un nuovo agente. Donna e di colore.
Sarebbe bello, interessante soprattutto, chiedere a Jan Fleming cosa ne pensi.
Va benissimo in linea generale. Tutti possiamo fare tutto. Perché siamo fratelli e questo è tanto un punto di partenza quanto di arrivo.
Ma da persona che scrive e ama i personaggi dei suoi romanzi, perché ognuno di loro ha senso esattamente come è, credo che stravolgere così profondamente sia una libertà che fa stridere un po’ tutto quanto.
Un personaggio arriva ed è un’entità vera e propria.
Non siamo noi a creare loro. Sono loro a cercare noi.
Mi spiace, ma 007 donna di colore fa pensare alla propaganda dei giorni nostri. Dove la parità di genere si sbandiera con i termini declinati al femminile fino alla nausea, ma si permette che in parti del mondo nemmeno troppo remote sia normale che una donna subisca il peggio del peggio. Dove il black-lives-matters suona come uno slogan da t-shirt senza cambiare nulla in parti del mondo in cui dovrebbe davvero cambiare tutto. Le battaglie per i diritti si combattono a viso aperto nella politica e nelle istituzioni.
Ho spento la tv che non credevo ai miei occhi. 007 lo avrei lasciato com’era. Attivo, allergico all’amore vero, con le caratteristiche pensate da chi lo ha creato.
Agitato, non mescolato, vero, James? E non parlo solo del Martini.
