IZombie. Una serie horror, disponibile su Netflix, che ho amato senza riserve.
IZombie non lascia spazio alla distrazione e ti tiene incollato allo schermo per cinque emozionanti stagioni.
IZombie è uscita negli Stati Uniti dal 2015 al 2019. E sembra raccontare, a modo suo e passo dopo passo, la pandemia con la P maiuscola, gli anni dolorosi e faticosi che abbiamo vissuto dal 2020 in poi.
Lì per lì non ci avevo fatto caso. Ma dalla terza stagione in poi, non ho potuto fare a meno di rivedere tutto quanto. L’inizio, gli inciampi, le divisioni, il dolore portato dal virus e non solo da quello. Tutto.
Un virus zombie che viene creato per caso e sfugge di mano. Perché un esperimento dopo l’altro, sai com’è. Un virus che si diffonde a macchia d’olio perché basta un graffio e taaac, ti svegli con quella voglia di nutrirti di cervelli umani che ti salva dal commettere un crimine dopo l’altro solo se sei bravo a trovarti lavoro in uno studio di medicina legale come assistente e dai una grossa mano al corpo di polizia nel risolvere un caso dopo l’altro.
Liv Moore, brillante studentessa in medicina, contagiata dal perfido Blaine in occasione di una festa in barca, fa proprio questo.
Trasforma la sua condizione di non morta in un servizio alla comunità.
Perché è grazie a quei curatissimi pranzetti sui generis e molto gourmet, a base di cervelli che Liv riesce ad avere visioni sul passato delle vittime. E a portare un autentico valore aggiunto nel fare giustizia.
Liv non è sola. Ha splendidi amici e compagni d’avventura. Che le sono di supporto e che sanno adattarsi ai suoi periodici cambiamenti di personalità. Sì, perché nutrirsi di cervelli implica assumere di volta in volta le caratteristiche del morto in questione.
Il geniale Ravi Chakrabarti, medico legale, il generoso Clive Babineaux, detective della sezione omicidi, la stupenda Peyton Charles, procuratore distrettuale ed il dolce Major Lilywhite, ex fidanzato di Liv, ma ex poi nemmeno tanto, che la difende da tutto e da se stessa.
Dall’altra parte c’è Blaine. Blaine DeBeers. Dal fascino maledetto ed innegabile. Il nemico numero uno. Colui che la contagia e che conosce l’arte di portare il male ovunque intorno a sé. E che però ha tratti che non ti aspetti e viene il momento in cui potresti amarlo, pure lui, forse. Se sei molto bravo a perdonare.
Insomma, non è una recensione e non vuole esserlo, ma un poco dovevo raccontarvi.
L’impressione di rivivere, passo dopo passo, la pandemia del 2020 è stata forte.
Esperimenti sfuggiti di mano, un business spaventoso attorno alle possibili cure, ma anche attorno a chi zombie deve rimanerlo per forza perché in fondo conviene, un siero miracoloso con effetti collaterali non inaspettati, la stampa con le mani legate, l’uso della forza per reprimere ed un muro che viene eretto per dividere.
Mettiamoci poi la casa farmaceutica che rema contro e il piatto è servito.

L’ultima stagione di questa serie che ora mi manca da morire, ispirata ad un fumetto uscito nel 2010, è, però, uscita nel 2019.
Quando tutto doveva ancora accadere.
Forse chi ha immaginato tutto questo ha capito tanto, troppo, di questo nostro mondo.
Ha capito così tanto che ne è venuta fuori una serie horror spettacolare quanto questa nostra realtà. E quindi, buona visione. O, soprattutto, buona riflessione.

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