Museo della felicità

La Felicità. Dalla Danimarca al mondo intero.”

E’ un viaggio, dentro un Paese e dentro se stessi, il concetto di felicità così come è stato riscoperto in Danimarca. La felicità come obiettivo, di un governo e di un intero popolo. Con i suoi, rassicuranti e non trascurabili, effetti secondari.
Scalda il cuore l’idea che un Paese possa adoperarsi affinché i propri cittadini siano felici.
Stiamo parlando di un Paese ricco, con uno stato sociale invidiabile, ma, come tutti i paesi scandinavi, con un tasso di suicidi molto alto fino a pochi anni fa. Tanta pioggia e poca luce per diversi mesi l’anno possono incidere, in negativo, sull’essere umano.
Voler capire e risolvere, però, fa la differenza. Dal più grande dei problemi possono nascere immensi benefici. E così è stato per i nostri amici danesi.
Dall’Happiness Research Institute, think tank focalizzato sul benessere e sulla qualità della vita, non solo è nato il Museo della Felicità a Copenhagen, ma un intero metodo “nazionale” della felicità stessa. Qualcosa che si respira nel profondo e che oggi attraversa ogni aspetto della vita dei cittadini danesi. C’è un termine, “Hygge”, che dà un nome a tutto questo ed esprime il modus vivendi che i Danesi hanno imparato. Hygge è una parola che non ha una sola traduzione possibile, ha a che fare con lo stare bene con se stessi, col vivere la vita secondo i propri tempi e con il “trovare riparo.” Deve essere bello sentirsi protetti dal Paese in cui si vive.
Ogni momento della giornata può e dovrebbe essere un’occasione per essere felici. E quindi si è partiti con il chiedere alle persone che cosa sia, per loro, la felicità. Questo è stato fatto in fase di studio e viene fatto tuttora al Museo della Felicità dove i visitatori affidano ad un post-it la loro idea di felicità per poi attaccarlo in una stanza dedicata. Un percorso multimediale e fortemente interattivo in cui si indaga e si riflette. Migliaia di fogliettini colorati in cui gli esseri umani esprimono se stessi. Ed in cui l’80% delle risposte ha a che fare con lo stare con le persone che si amano, con i propri amici, con l’atmosfera intima della propria casa, con copertina, tisana, camino e candele accese. E con il condividere buon cibo.
In Danimarca gli orari di lavoro non si trascinano. Si esce presto, al pomeriggio, e si ha tempo di vivere. Nelle scuole, dove si serve cibo bio, per dire, e negli stessi luoghi di lavoro si punta a creare un clima sereno e rilassato. La competizione questa sconosciuta. Lavorando sempre meno e sempre meglio alcune aziende hanno raddoppiato il loro fatturato. Anno dopo anno.
Non si deve necessariamente votare la propria vita alla carriera se l’obiettivo è la sicurezza economica. Perché è la qualità, del lavoro, del tempo e della vita di ognuno di noi, che costruisce, mattone su mattone, una realtà bella e solida per noi e per gli altri. In ogni contesto della nostra esistenza.
In Danimarca le tasse sono altissime, sì. Ma il rapporto di fiducia tra cittadini e Stato è talmente forte che si pagano volentieri. E’ un investimento in felicità, in tutela e protezione. In benessere, salute e studio, per essere precisi. E ho detto tutto.
Si paga con piacere, con la certezza che nessuna risorsa andrà sprecata, ma investita.
Un criterio che più circolare e virtuoso di così, davvero, non saprei immaginare.
La felicità di ogni singolo individuo, la felicità di tutti, corrisponde alla prosperità di un intero Paese. Imparare ad essere felici imparando a chiedersi che cosa sia la felicità per ognuno di noi. E attivare quella bussola interiore rimasta ferma per troppo tempo.
Il criterio danese di felicità dovrebbe essere la madre di ogni modello. Un modello per il mondo e per i governi tutti. Ciò che dai ritorna. E se ti occupi davvero della felicità delle persone è molto probabile che avrai, come governante, un sacco di grattacapi in meno. Credo si lasci quel museo tanto particolare e la Danimarca stessa con, all’attivo, un percorso fatto soprattutto dentro se stessi. E questo può essere ispirante a livello globale, alla fine.
Sono dell’idea che la felicità sia soprattutto una scelta, ma, se promossa dall’alto, quello che è lo Stato in cui vivi non rimane un’istituzione ma qualcosa da amare. Una patria vera.
Pare che in occasione dei compleanni festeggiati al ristorante, in Danimarca, si chieda sempre la bandierina danese sul tavolo. Come a voler ringraziare per aver reso tutto questo possibile.
La canzoncina che si canta al festeggiato parla di regali e desideri esauditi. Non a caso.
I nostri desideri e la nostra felicità non sono parti accessorie nella nostra vita. Sono un motore che diffonde ispirazione, che può contagiare dal nostro vicino di casa al mondo intero.
Complimenti, cara Danimarca.
Amleto, di questi tempi, sarebbe stato un principe felice.

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